Aracytin ha azione teratogena in alcune specie animali.
Per il rischio di potenziali anomalie, causate dalla terapia citotossica, particolarmente durante il primo trimestre di gestazione, le pazienti già gravide o che lo diventino durante il trattamento con Aracytin, devono essere informate sui potenziali rischi per il feto e consigliate sull'opportunità di continuare o meno la gravidanza. Tale rischio, pur essendo presente, è considerevolmente ridotto se la terapia viene iniziata durante il secondo o il terzo trimestre di gravidanza. Benché neonati normali siano stati partoriti da pazienti trattate durante l'intero periodo della gravidanza, è consigliabile che questi bambini vengano tenuti sotto osservazione medica.
Non sono disponibili dati nell'uomo o nell'animale relativi alla escrezione di citarabina nel latte. È buona norma pertanto interrompere l'allattamento o sospendere la terapia con Aracytin, tenendo in considerazione l'importanza del farmaco per la madre.
Sono riportati 32 casi di trattamento in gravidanza con Aracytin da solo o in associazione con altri farmaci citotossici. In 18 casi non si sono osservate anormalità alla nascita. Sono riportati due casi di malformazioni, uno caratterizzato da anomalia alle estremità e all'apparato uditivo e l'altro da anomalia alle estremità superiori e inferiori. In entrambi i casi il trattamento fu effettuato durante il primo trimestre di gravidanza. In sette casi si ebbero problemi nel periodo neonatale, quali: pancitopenia; riduzione transitoria dei globuli rossi, dell'ematocrito e delle piastrine; alterazioni elettrolitiche; eosinofilia transitoria, e in un caso elevati livelli di IgM e iperpiressia probabilmente in seguito a sepsi. Sei dei sette neonati erano prematuri. Il neonato con pancitopenia morì dopo 21 giorni per sepsi. In cinque casi si procedette all'interruzione terapeutica della gravidanza. Un feto mostrò splenomegalia e un altro trisomia di un cromosoma del gruppo C nel tessuto corionico.
Reazioni avverse previste
Essendo la citarabina un agente citotossico con attività di mieloinibizione, le reazioni avverse previste sono quelle comuni ai farmaci di questa classe, quali: anemia, leucopenia, trombocitopenia, megaloblastosi, reticolocitopenia, alterazioni qualitative della popolazione cellulare del midollo osseo. La gravità di queste reazioni è dipendente dallo schema posologico e dall'entità della dose.
Complicanze infettive
Infezioni virali, batteriche, micotiche, parassitiche o saprofitiche a qualsiasi localizzazione corporea, possono essere associate all'impiego di Aracytin da solo o in combinazione ad altri agenti immunosoppressivi. Queste infezioni possono essere lievi, ma anche gravi e a volte con esito infausto.
Sindrome da citarabina
È stata descritta una sindrome da citarabina, caratterizzata da febbre, mialgia, dolore osseo, occasionalmente dolore toracico, rash maculopapulare, congiuntivite e malessere. Usualmente si manifesta dopo 6-12 ore dalla somministrazione. La somministrazione di corticosteroidi è risultata efficace nel trattamento/prevenzione di questa sindrome.
Se i sintomi della sindrome sono ritenuti trattabili, dovrebbe essere previsto sia l'impiego di corticosteroidi che la continuazione della terapia con citarabina.
Reazioni avverse più frequenti
Anoressia, nausea, vomito, diarrea, ulcerazioni orali e anali, disfunzione epatiche, febbre, rash, tromboflebiti.
La nausea e il vomito sono più frequenti dopo iniezione endovenosa rapida.
Reazioni avverse meno frequenti
Sepsi, cellulite al sito di iniezione, ulcerazioni cutanee e delle mucose, ritenzione urinaria, disfunzioni renali, neuriti, neurotossicità, mal di gola, esofagiti, dolore toracico, cefalea, orticaria, polmonite, dolore addominale, pigmentazioni, ittero, congiuntivite (può essere associata a rash), vertigini, alopecia, anafilassi (Vedere "Speciali avvertenze e precauzioni per l'uso"), edema allergico, prurito, respiro corto. È stato segnalato un caso di anafilassi, risultato in arresto cardiopolmonare acuto.
Dosi sperimentali
L'Aracytin somministrato secondo schemi posologici sperimentali elevati (2-3 g/m2 ) ha provocato tossicità grave a volte fatale a carico del S.N.C., dell'apparato gastrointestinale e dei polmoni (diversa da quella riscontrata con i regimi terapeutici convenzionali).
Queste reazioni comprendono tossicità corneale reversibile e congiuntivite emorragica; disfunzioni cerebrali e cerebellari, usualmente reversibili, con cambio della personalità, sonnolenza e coma; gravi ulcerazioni gastrointestinali, compresa la pneumatosi cistoide intestinale esitante in peritonite; sepsi e ascessi epatici; danni epatici con aumento dell'iperbilirubinemia; necrosi intestinale e colite necrotizzante; edema polmonare. Raramente, grave rash cutaneo che ha indotto desquamazione. Alopecia totale.
Casi di cardiomiopatia con conseguenze fatali, si sono verificati dopo terapia con dosi sperimentali elevate di citarabina in associazione a ciclofosfamide per la preparazione al trapianto midollare: questa reazione può essere dipendente dallo schema terapeutico.
Dopo terapia sperimentale con dosi elevate di citarabina per il trattamento delle recidive della leucemia è stata segnalata in 16/72 pazienti una sindrome da improvvisa insufficienza respiratoria, che è progredita rapidamente ad edema polmonare e cardiomegalia radiograficamente evidente. L'esito di questa sindrome può essere fatale.
Due pazienti con leucemia acuta non linfocitica dell'adulto hanno sviluppato neuropatia periferica del motorio e del sensorio dopo consolidamento con dosi elevate di citarabina, daunorubicina e asparaginasi.
I pazienti trattati con Aracytin a dosi elevate devono essere osservati per la possibile insorgenza di neuropatie dal momento che possono essere necessarie variazioni dello schema posologico per evitare alterazioni neurologiche irreversibili.
Dieci pazienti trattati con dosi sperimentali intermedie di citarabina (1 g/m2 ) da sola o in associazione ad altri agenti chemioterapici (meta-AMSA, daunorubicina, etoposide) hanno sviluppato polmonite interstiziale diffusa senza una chiara correlazione di causalità con la citarabina.
Sono stati segnalati due casi di pancreatite possibilmente correlati alla citarabina, dopo somministrazione di Aracytin a dosi elevate in associazione a numerosi altri farmaci.
Colture cellulari
La citarabina è citotossica per una vasta varietà di cellule proliferative di mammifero in coltura.
La sua attività è fase specifica e primariamente diretta sulle cellule in fase S, durante la sintesi del DNA.
Inoltre in determinate condizioni blocca il passaggio delle cellule della fase G1 alla fase S. Sebbene il meccanismo d'azione non sia completamente chiarito, sembra che la citarabina agisca inibendo la DNA polimerasi.
È stata riportata una limitata, ma significativa, incorporazione della citarabina sia nel DNA che nell'RNA. La citarabina induce estesi danni cromosomiali, comprese le rotture dei cromatidi e la trasformazione neoplastica di cellule di topo in coltura.
La deossicitidina previene o ritarda, ma non elimina, l'attività citotossica della citarabina.
La citarabina ha mostrato attività antivirali nelle cellule in coltura, che non è stata confermata negli studi clinici controllati nell'herpes zoster e nella varicella.
Sensibilità e resistenza cellulare
La citarabina è metabolizzata dalla deossicitidina chinasi e da altre chinasi nucleotidiche a nucleotide trifosfato, potente inibitore della DNA polimerasi; è inattivata dalla pirimidina-nucleoside-deaminasi che la trasforma in un derivato uracilico privo di citotossicità. Il rapporto tra i livelli di chinasi e deaminasi sembra essere un importante fattore nel determinare la sensibilità o la resistenza cellulare alla citarabina.
Farmacologia animale
Nel topo, la citarabina è risultata maggiormente attiva nei tumori con alto indice proliferativo. L'efficacia, dipendente dallo schema terapeutico, è risultata ottimale quando la somministrazione effettuata con dosi ripetute ravvicinate o per infusione continua, assicura il contatto del farmaco con il massimo numero di cellule neoplastiche in fase S. I migliori risultati sono stati ottenuti quando i cicli terapeutici venivano intervallati con periodi di tempo sufficienti a permettere un adeguato recupero delle condizioni di base.